
Ogni qual volta si legge un libro scritto da un sopravvissuto ai lager nazisti, ogni qual volta si parla con un sopravvissuto, la prima immagine che sempre viene evocata è quella dell’arrivo al lager, a prescindere di quale lager si tratti.
E’ l’immagine di cancelli che si aprono, porte infernali che si sono spalancate verso un’unica direzione per milioni di persone in tutto il territorio del Terzo Reich.
Ogni dettaglio nei luoghi dello sterminio nazista era pensato, progettato affinché chi vi giungesse avesse chiaro sin da subito che da quelle porte non sarebbe mai uscito vivo e che in quei luoghi gli unici compagni erano il dolore e la sofferenza, e l’unica speranza la morte nella sua funzione liberatrice.
Il primo e più tristemente noto cancello che abbiamo fotografato durante i nostri viaggi è quello di Auschwitz su cui campeggia la scritta ARBEIT MACHT FREI : IL LAVORO RENDE LIBERI, voluta dal comandante Rudolf Höß e come noto commissionata al prigioniero polacco 1010 Jan Liwacz di professione fabbro, che in segno di lotta silenziosa, compose la lettera “B” rovesciata.

Vale la pena riflettere un momento sui diversi significati che il concetto di lavoro ha assunto nel tempo: si è passati dalla concezione greco romana in cui a lavorare erano gli schiavi, in quanto attività umiliante, alla moderna concezione del lavoro e dei lavoratori. Nel pensiero ebraico, prevale l’ideale biblico del lavoro che non solo è dignità, ma anche un santo diritto naturale di ogni uomo, perciò, per i reclusi quella scritta rappresentava una … ”forma di cinica irrisione, perché il lavoro, nella rigida regolamentazione dei campi di concentramento nazionalsocialisti, significò sfruttamento, botte, angherie e morte” ” ( da: Al termine del Binario: Auschwitz, A. Navoni, F. Pozzi – Linea Edizioni 2018 e da: Auschwitz. La città, il lager, di S. Steinbacher – edizioni Einaudi 2005).
Questa stessa odiosissima e mendace scritta la troviamo anche presso i lager di Dachau, Flossemburg, Gross Rosen e Theresienstadt.

Meno nota ma altrettanto inquietante nel suo significato è la scritta che ancor oggi troneggia sui cancelli del lager di Buchenwald, noto fra l’altro per essere stato luogo di detenzione e morte della principessa Mafalda di Savoia d’Assia, sito sulle colline adiacenti alla cittadina di Weimar nella regione della Turingia che diede i natali ad intellettuali e filosofi del calibro di Goethe e Schiller.

Comandante di questa terribile fabbrica della morte fu il temutissimo Karl Otto Koch, che impose un regime di terrore assoluto oltre i cancelli del campo, su cui tutt’oggi leggere la scritta: “JEDEM DAS SEINE” e che possiamo tradurre in italiano come “A CIASCUNO IL SUO” laddove a che cosa corrispondesse questo “suo” a deciderlo era l’incondizionato volere del comandante.

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