La determinazione e la fede incrollabile negli ideali del nazionalsocialismo sono senza dubbio due fra gli elementi che più impressionano chi come noi si interessa agli eventi accaduti durante la seconda guerra mondiale.
Prova ne è, senza alcun dubbio, anche la storia del piroscafo Cap Arcona che si è intrecciata con le vite di moltissimi deportati del campo di Auschwitz, di cui il più noto è senza dubbio Benjamin Jacobs, autore del libro “Il dentista di Auschwitz” per le edizioni Gingko.
Ma quello che vogliamo raccontare qui è il modo in cui noi abbiamo conosciuto la storia della nave tanto cara al potente ministro della propaganda, Joseph Goebbels, che:
“la volle come set per un colossale sulla tragedia del Titanic, al fine di dimostrare l’incompetenza e la vigliaccheria degli ufficiali inglesi” (1).
Anche la storia della Cap Arcona e del suo tragico destino ci è venuta in qualche modo a cercare lungo il nostro percorso di studi sui campi campi di concentramento e sterminio nazisti in territorio polacco.
In particolare la storia di questo transatlantico è collegata alla morte di alcuni prigionieri del lager di Auschwitz, fra cui quella di Tadeusz Slowiaczek. Ma chi era quest’uomo e perché noi lo abbiamo per così dire conosciuto?
Il nostro lavoro nel tempo si è spostato dall’aspetto più strettamente iconico-fotografico a quello più legato alle storie e alle vite dei prigionieri che furono, insieme ai loro aguzzini, attori principali della vita del più famoso e famigerato campo di Auschwitz.
Lettera inviata da Tadeusz alla famiglia il 31 gennaio 1943
Abbiamo raccolto centinaia di lettere di prigionieri polacchi, gli unici che praticamente potevano scrivere alle famiglie e fra queste anche quella di Slowiaczek.
Come per tutti gli altri prigionieri di cui possediamo delle lettere abbiamo iniziato una ricerca scoprendo che:
Tadeusz SŁOWIACZEK era nato il 28 agosto 1919 e che il 10 gennaio 1940, all’età di ventuno anni, fu arrestato assieme ai fratelli Karl (con il quale avrà in comune il tragico destino) e Franciszek.

Il 20 giugno vennero deportati, con uno dei primi trasporti, ad Auschwitz, dove vennero registrati con il numeri: 1069 Tadeusz, 1054 Karol e 1070 Franciszek. Secondo le nostre informazioni Tadeusz rimase ad Auschwitz sino al 1943, quando con un gruppo di prigionieri venne trasferito a Neuengamme nei sobborghi della città portuale di Amburgo dove dal 1938, in una ex fabbrica di mattoni, era attivo l’omonimo campo.
Dalla sua lettera datata 31 gennaio 1943 possiamo evincere che l’uomo, fatto prigioniero come già detto insieme ai fratelli scrive alla madre e alla sorella che gli scrivono ed inviano regolarmente il denaro di cui ha bisogno.
Anche per Tadeusz come per tutti gli altri prigionieri la ricezione della corrispondenza da casa è di particolare importanza: essa rappresenta una fonte di sostegno psicologico e morale di vitale importanza.
Il legame con il “mondo fuori”, con i luoghi e gli affetti della vita prima dell’arresto sono fondamentali nell’economia della sopravvivenza dei prigionieri, non tanto quella fisica quanto quella legata alla loro umanità, alla possibilità di essere nonostante tutto ancora persone e non numeri.
Un’altro aspetto curioso è rappresentato dagli auguri di onomastico che il detenuto chiede vengano fatti ad una amica o parente: nella cattolicissima Polonia infatti l’onomastico e tutte le festività a carattere religioso hanno una grandissima importanza.
Auschwitz, 31.1.1943
Care mamma e sorella!
Per l’ultima lettera e per il denaro vi ringrazio di cuore. Vi comunico che i pacchi per raccomandata sono proibiti. Da me non ci sono novità. Perché Eli mi scrive sempre così poco? Voglio sapere se da voi ci sono delle novità. Ringrazio Stanisława, ma non deve spendere così tanto. Ringrazio di cuore anche il signor Leschek per le fette biscottate. Adesso attendo una lettera da parte sua. Anche la zia Mila dovrebbe scrivermi. Cara mamma, sai quanto ci siano care le lettere che riceviamo da casa. Ogni settimana le aspettiamo con impazienza e con grande trepidazione. Anche Zbyszek aspetta i saluti da parte vostra. Vi saluto e bacio le vostre mani, carissima mamma, la zia Stanisława, lo zio Karl, il signor Leschek, tutti i parenti e i conoscenti. Attendo la risposta a ogni mia lettera e spero che non mi dimentichiate.
Il vostro Tadek
A Nastja per il suo onomastico mando i miei più calorosi auguri.
Ma torniamo ai fatti della storia che coinvolsero Tadeusz e che lo portarono, assieme al fratello Karl, a morire a bordo della Cap Arcona.
Durante la fase finale della guerra, le autorità del campo inviarono numerosi detenuti dal campo di Neuengamme presso alcune navi che si trovano alla fonda nella baia di Lubeck per essere affondate con il loro carico umano, fra cui per l’appunto la Cap Arcona.
Andiamo con ordine: era il 14 maggio 1927 quando la potente compagnia di navigazione tedesca Hamburg-Sud varava, per mano della figlia dell’armatore Beatrix von Amsinck un gigantesco transatlantico di lusso a cui venne imposto il nome di Cap Arcona dal nome di alcune scogliere a Nord dell’ Isola di Rugen nel Baltico.
Il piroscafo era destinato alle rotte transatlantiche ed in particolare ai collegamenti con il Sud America, ma con l’invasione della Polonia il 1 settembre del 1939 da parte dei nazisti e il conseguente inizio della seconda guerra mondiale, il destino della lussuosissima imbarcazione cambiò ed anch’essa venne messa a disposizione della Kriegsmarine, la marina militare tedesca.
La nave trascorse quasi tutta la guerra, dal 29 novembre del 1939 al 31 gennaio del 1945 alla fonda presso il porto di Gdynia, come caserma galleggiante e nave addestramento.
Alla fine del 1944 fu destinata al trasporto dei profughi in fuga dalla Prussia Orientale verso occidente. In seguito ad un danno ai motori (14 aprile 1945) che lasciò la nave senza possibilità di manovra al largo di Neustadt (Holsyein), la marina la rese alla compagnia di navigazione.
All’inizio delle operazioni di sgombero dei campi di concentramento la nave venne nuovamente requisita dalle SS. Il 26 aprile del 1945 iniziò l’imbarco sulla Cap Arcona dei prigionieri del Kzl di Neungammee dei sopravvissuti della marce della morte dal campo di concentramento di Furstengrube e dagli altri campi di concentramento della Slesia
L’intenzione era quella di affondare nel Baltico la Cap Arcona e altre due navi, la Thielbek e la Athen portate appositamente nella baia di Lubecca, in modo da eliminare le tracce dei soprusi commessi nei campi di concentramento.
Durante l’imbarco dei primi prigionieri sulla Cap Arcona uomini delle SS chiusero tutte le possibili vie di fuga e bloccarono le scialuppe di salvataggio. Ciò venne interpretato come indizio dell’intenzione di affondare la nave tramite un’esplosione; furono bloccate le paratie antincendio e la nave venne provvista di una quantità moderata di carburante.
Ma la Cap Arcona non fu affondata come programmato dai nazisti, bensì dal bombardamento della R.A.F. del 3 maggio 1945 che non fu apparentemente informata (ad oggi la responsabilità di quanto accaduto non è stata stabilita con certezza), come accadde invece per le truppe di terra ad opera della croce rossa, dell’esistenza delle navi e del tipo di “carico” da esse trasportato e che, durante i voli di ricognizione, non riconobbero nei passeggeri dei prigionieri.
Per tale motivo le persone a bordo furono scambiate per truppe e gerarchi nazisti in fuga dal paese.
L’attacco fu condotto da aerei del tipo Typhonn del 263º squadrone da Ahlhorn, del 197º da Celle e del 198º da Plantlünne.
La Cap Arcona fu colpita da 64 razzi incendiari che la ridussero completamente in fiamme.
I documenti relativi all’attacco aereo sono stati secretati dalla RAF fino al 2045.

Così ricorda quei momenti Benjamin Jacobs:
d’un tratto udimmo uno scoppio spaventoso, la nave fu cosa violentemente. Un boato e poi un altro seguirono in rapida successione…Qualche cosa di terribile stava accadendo. Scoprimmo che la nostra porta era chiusa, e nessuno degli innumerevoli colpi, urla, implorazioni a qualcuno di aprirla ci fu di aiuto. Poi un altro botto risuonò, il pavimento si inclinò sotto i nostri piedi. Ben resto la stanza si riempì di fumo… Improvvisamente la lampadina si spense. Il buio ci terrorizzò ancor di più. (2)
(1) da: “Il Titanic dei nazisti” di Robert P. Watson, Edizioni Giunti
(2) da: “il dentista di Auschwitz” di Benjamin Jacobs, Gingko Edizioni.
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