Oleg Mandić: l’ultimo bambino di Auschwitz.

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Erano i primi di novembre del 2017 quando una nostra cara amica, Caterina, ci chiese se conoscessimo la storia di Oleg Mandić, sapeva dei nostri studi sui campi di concentramento nazisti e conosceva l nostro libro “Al termine del binario: Auschwitz” e quindi ci fece cosa molto gradita invitandoci ad una conferenza del dott. Mandić in cui sarebbe stato presentato il suo libro dal titolo “l’Ultimo bambino di Auschwitz”, Edizioni Biblioteca dell’Immagine.

Incontrare Oleg così come era stato per Karol Tendera è stata un’esperienza indimenticabile, l’uomo insieme alla madre e alla nonna era stato prigioniero nel più terribile dei lager nazista: Auschwitz.

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L’auditorium è gremito ma l’ovvio brusio dato dalla presenza di tante persone si blocca istantaneamente all’entrata di Mandić, un signore dall’aria gioviale e serena capace con i suoi occhi ridenti e curiosi di comunicare empatia e rispetto per chi gli siede di fronte.

Inizia il suo racconto e fra il pubblico l’emozione e la commozione sono tangibili.

Racconta che alla sua età ormai fatica a ricordare cosa abbia mangiato a pranzo ma è perfettamente in grado di ricordare quanto accadutogli da ragazzino quando venne deportato ad Auschwitz e che, nonostante gli anni e la fatica, è sempre felice di incontrare giovani e meno giovani per parlare loro della sua drammatica esperienza, dei suoi giorni nel lager, della sua liberazione, del suo grande immenso amore per la vita, per quella vita che dice di poter amare ed apprezzare più di chiunque altro proprio grazie alla terribile esperienza vissuta di cui per anni si è rifiutato di parlare, ma che poi nel 1955 ha deciso di trasformare attraverso la sua penna di giornalista in un messaggio di speranza affinché orrori, quali furono Auschwitz e gli altri campi di concentramento e sterminio, non siano mai più.

Oleg Mandić, classe 1933, è nato da una famiglia Istriana di origine Croata, con la madre e la nonna, fu arrestato il 15 maggio 1943, quando in casa loro, a Villa Mandić, fecero irruzione i Tedeschi che cercavano il padre ed il nonno che si erano rifugiati in montagna ed erano entrati a far parte dei gruppi di partigiani. I tre furono tradotti in carcere:

“nella cella eravamo in molti e non era possibile contare i corpi piegati ed esausti… Mi tenevo stretto alla mamma e alla nonna e non mi rendevo conto di essere diventato una parte del grappolo di corpi che perdevano sempre più le caratteristiche basilari dell’essere umano.”

Inizia così la tragica odissea di quel ragazzino che questa sera risponde con cordialità e cura nella scelta delle parole alle domande della platea. Oleg racconta la sua Auschwitz, il suo calvario, terminato con la liberazione da parte dell’Armata Rossa nel gennaio del 1945.

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Uno dei momenti più forti è certamente quando ricorda l’incontro con  “l’angelo della morte” il dott. Mengele, mentre si trovava  ricoverato nell’ospedale dei bambini e che ricorda come un uomo “elegante e cordiale”.

Siamo rimasti profondamente colpiti da questa descrizione tanto da porci ancora una volta di fronte ad una riflessione obbligatoria – cardine per altro del pensiero di Hannah Arendt -: si può essere così abituati a “fare” il male da esserne completamente abituati, assuefatti, da considerarlo così quotidiano? 

Può davvero il male, – e qui parliamo di un male assoluto – essere tanto “banale” ?

Può davvero un uomo essere padrone non solo della vita e della morte di centinaia di migliaia di persone ma della loro dignità, della loro umanità tanto da farne cavie da laboratorio eppure rimanere “elegante e cordiale”?

Sono tante le riflessioni che ci ha offerto l’incontro con Oleg Mandić e la sua storia e su cui abbiamo potuto continuare a riflettere leggendo il libro che lo stesso Oleg ha scritto, con il giornalista Roberto Covaz per le Edizioni Biblioteca dell’Immagine, dal titolo : ”L’ultimo bambino di Auschwitz” perché come racconta egli stesso:

“E’ venerdì due marzo (1945). Prima di salire sull’auto il bimbo si chiude alle spalle il cancello del famigerato campo di concentramento…”

 

 

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